La crudeltà nell’antica Roma: storie di schiavi e padroni

 

Annalisa Venditti

 

 

Dallo storico Diodoro Siculo veniamo a sapere che una certa Megallide, moglie di Damofilo, un ricco possidente romano del III sec. a.C., faceva a gara con il marito nelle punizioni degli schiavi. “Comperato un gran numero di schiavi – annota Diodoro - li trattava con durezza, marchiando a fuoco i corpi di questi sventurati che, peraltro, nel loro paese di origine erano stati uomini liberi e ora erano schiavi perché caduti in prigionia”. La donna, in particolare, “godeva nell’infliggere punizioni disumane alle sue schiave, nonché agli schiavi che le capitavano a tiro”. Giovenale, sempre critico nei confronti del gentil sesso, ricordava la crudeltà delle matrone che, insoddisfatte dei loro coniugi, si sfogavano con gli schiavi: “se il marito si è girato dall’altra parte, è finita per loro!”. Una storia esemplare è narrata da Seneca. Una sera l’Imperatore Augusto si trovava in casa di Vedio Pollione. Un povero schiavo, inavvertitamente, aveva rotto un vaso di cristallo. Il padrone, uomo senza scrupoli, lo aveva per questo condannato ad essere gettato in pasto alle murene, pesci voracissimi che allevava in casa. “Lo schiavo – racconta il filosofo – riuscì a liberarsi e si rifugiò ai piedi dell’Imperatore. Altro non voleva chiedere se non una morte diversa. Non voleva diventare un cibo. Augusto fu scosso dall’inaudita crudeltà. Lasciò andare lo schiavo e ordinò che tutti gli oggetti di cristallo fossero spezzati al suo cospetto, tanto da riempire la piscina intera. Fu questo per Augusto il modo giusto di punire l’amico”.
Almeno fino all’epoca dell’Imperatore Adriano (117-138 d.C.), infatti, un padrone poteva decidere della vita e della morte del suo schiavo. Terribili erano gli strumenti di tortura: c’erano le “fidiculae”, corde per la slogatura delle membra, l’ “eculeus”, un bastone su cui lo schiavo veniva fatto sedere, piastre arroventate di metallo, pungiglioni e schegge d’osso.
Un caso per tutti ci fa cogliere la diffusa atrocità. La schiava Epicari, accusata da Nerone di essere al corrente di una congiura a suo danno, venne sottoposta per due giorni a strazianti torture. Ad un certo punto, tramanda lo storico Tacito, “appoggiata su una sedia con gli arti disfatti, senza la forza di stare in piedi, si tolse il reggiseno. Lo legò alla spalliera della sedia come un cappio, vi mise dentro il capo ed esalò l’ultimo soffio vitale”. Le colpe gravi venivano punite anche con la condanna alle belve del circo e con la crocifissione, la più infamante delle morti. Del resto, gli schiavi, privi di libertà personale, erano considerati alla stregua degli animali domestici. Così secondo Catone il Censore, “bisognava svendere i buoi vecchi, gli schiavi malati e quelli vecchi: in genere tutto ciò che è superfluo”.
L’evoluzione del sistema schiavile verrà affrontato nella prossima “Intervista possibile” di “Questa è Roma”!, la trasmissione di Maria Pia Partisani dedicata alla storia dell’Urbe antica, in diretta ogni sabato mattina su Nuova Spazio Radio (88.150), dalle 9.30 alle 11.30.

 

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