La crudeltà nell’antica Roma: storie di schiavi e padroni
Dallo storico Diodoro Siculo veniamo a sapere che
una certa Megallide, moglie di Damofilo, un ricco possidente romano del III sec.
a.C., faceva a gara con il marito nelle punizioni degli schiavi. “Comperato un
gran numero di schiavi – annota Diodoro - li trattava con durezza, marchiando a
fuoco i corpi di questi sventurati che, peraltro, nel loro paese di origine
erano stati uomini liberi e ora erano schiavi perché caduti in prigionia”. La
donna, in particolare, “godeva nell’infliggere punizioni disumane alle sue
schiave, nonché agli schiavi che le capitavano a tiro”. Giovenale, sempre
critico nei confronti del gentil sesso, ricordava la crudeltà delle matrone che,
insoddisfatte dei loro coniugi, si sfogavano con gli schiavi: “se il marito si è
girato dall’altra parte, è finita per loro!”. Una storia esemplare è narrata da
Seneca. Una sera l’Imperatore Augusto si trovava in casa di Vedio Pollione. Un
povero schiavo, inavvertitamente, aveva rotto un vaso di cristallo. Il padrone,
uomo senza scrupoli, lo aveva per questo condannato ad essere gettato in pasto
alle murene, pesci voracissimi che allevava in casa. “Lo schiavo – racconta il
filosofo – riuscì a liberarsi e si rifugiò ai piedi dell’Imperatore. Altro non
voleva chiedere se non una morte diversa. Non voleva diventare un cibo. Augusto
fu scosso dall’inaudita crudeltà. Lasciò andare lo schiavo e ordinò che tutti
gli oggetti di cristallo fossero spezzati al suo cospetto, tanto da riempire la
piscina intera. Fu questo per Augusto il modo giusto di punire l’amico”. |
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