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Nel 1462 nacquero nelle piccole e medie città del centro Italia i Monti di 
Pietà, per rispondere alle esigenze di credito dei poveri e strappare il 
monopolio dei prestiti ai banchi dei pegni, che praticavano tassi di interesse 
molto alti. I Monti di Pietà applicavano interessi fissi al 5%, chiedendo quali 
garanzie per ricevere un prestito la residenza in città o nelle vicinanze. 
A Roma, il palazzo del Monte di Pietà, che dà il nome alla piazza su cui 
prospetta, riflette la politica creditizia e sociale del Cinquecento.  
Fu istituito nel 1539 dal padre Giovanni Mattei da Calvi, Commissario della 
Curia Romana dei Frati Minori, per alleviare l’indigenza dei poveri e combattere 
l’usura. Amministrato inizialmente dallo stesso fondatore, vi fu successivamente 
preposto un porporato assistito da una Congregazione di 40 deputati scelti dalle 
migliori famiglie romane. 
La prima sede fu in Banchi, di fronte a S. Lucia del Gonfalone; di qui si spostò 
in un edificio di Clemente Buccelleni in via dei Coronari, acquistato nel 1585 
per 7000 scudi da Sisto V. Dal 1603 è nella sede attuale. 
Il palazzo del Monte, costruito dalla famiglia Santacroce, dominava l’omonima 
piazza, detta anche di S. Martinello. Fu venduto nel 1588 al card. Prospero 
Santacroce che lo fece sistemare dal Mascherino (Ottaviano Nonni). L’erede del 
cardinale lo cedette nel 1591 ai fratelli Settimio e Fantino Petrignani di 
Amelia, che nel 1603 lo alienarono a favore del Sacro Monte di Pietà. 
Iniziarono i lavori di ampliamento sotto la direzione del Maderno - che ebbe 
come collaboratore anche il giovane Borromini - il quale prolungò la costruzione 
sulla destra della vecchia facciata del Mascherino e costruì in angolo con via 
Arco del Monte una Cappella, aperta al pubblico nel 1618.  
Sotto Urbano VIII, ampliata la piazza con la demolizione di alcune case, 
proseguì l’ampliamento della fabbrica verso piazza dell’Olmo, attuale S. 
Salvatore in Campo; nella direzione dei lavori, alla morte del Maderno (1630) 
era succeduto il Breccioli a cui subentrò il Peparelli che per proseguire i 
lavori demolì nel 1638 la chiesa di S. Salvatore in Campo.  
Una nuova cappella si iniziò a costruire nel 1639 con l’opera di Francesco 
Peparelli, (morto nel 1641), continuò con Giovanni Antonio De Rossi 
(collaboratore dei Bernini) e successivamente con Carlo Francesco Bizzaccheri 
(allievo di Carlo Fontana), a cui si devono il vestibolo e la cupola. Il piccolo 
edificio, a pianta ovale, è un vero gioiello realizzato secondo un preciso 
programma organico, che prevedeva l’esaltazione dell’intento benefico del Sacro 
Monte. L'esecuzione delle decorazioni si protrasse fino al 1725 e la 
consacrazione ebbe luogo nel 1730.  
Successivamente si continuò l’ampliamento della fabbrica verso la Trinità dei 
Pellegrini; la facciata da quel lato, eretta tra il 1735 e il 1740, è opera di 
Nicola Salvi. 
Nella facciata principale, la parte centrale, con sei finestre architravate a 
mensole e la porta spostata a sinistra, è quella più antica. Corrisponde al 
palazzo Santacroce Petrignani, ed è opera del Mascherino; successivamente è 
stata sopraelevata e modificata. 
In basso, una fontana addossata alla facciata, per gli emblemi scolpiti, è un 
chiaro omaggio dell’esecutore al committente, Paolo V (Borghese). L’acqua sgorga 
da due draghi posti al lato della vasca e, al centro, da un indefinibile 
mascherone, più simile ad una bestia che ad un uomo. Al di sopra, una mensola su 
cui campeggia un’aquila. 
In linea con il primo piano, un’edicola, più propriamente l’insegna 
dell’Istituzione adorna la facciata: un bellissimo altorilievo in marmo del 
Cristo deposto dalla croce entro il sepolcro, emblema del Monte di Pietà. La 
figura, modellata con eleganza contro il fondo policromo, sporge da una nicchia 
profonda, limitata da grosse cornici modanate, sotto un timpano ricurvo in cui 
una testina alata di bimbo sorregge pesanti festoni. La grande targa di marmo, 
disegnata dal Maderno, ricorda il trasloco del Monte in questa nuova sede. Due 
grandi stemmi di Paolo III (fondatore del Monte) e di Clemente VIII (che 
acquistò della nuova sede) e due scudi minori coi blasoni di Roma e di Pietro 
Aldobrandini (cardinale protettore dal 1602 al 1621), chiusi da nastri mossi, 
inquadrano tra volute e modiglioni un insieme di squisito gusto barocco. 
All’ultimo piano, spostato sulla sinistra, è l’orologio - con il sovrastante 
campanile a vela adorno sul timpano del “Cristo nel Sepolcro” - a cui è 
collegata la storia secondo la quale il costruttore, non soddisfatto del 
compenso ricevuto, alterò i congegni e incise sull'orologio i seguenti versi: 
"Per non esser state a nostre patte / Orologio del Monte sempre matte". 
L'orologio fu collocato alla fine del XVII secolo e la scritta, naturalmente, fu 
cancellata dalle autorità. Ancor oggi, però, l'orologio sembra rispettare le 
direttive del suo costruttore: non segna mai l'ora giusta e cammina quando e 
come gli pare. 
Le altre facciate del palazzo sono prive di interesse, tranne quella disegnata 
dal Salvi e prospiciente sulla piazza della Trinità dei Pellegrini, poi 
sopraelevata. 
Lungo il perimetro dell’edificio sono varie targhe marmoree che ricordano la 
proibizione di “fare il mondezzaro” e le relative pene pecuniarie e corporali. 
L'attuale impostazione del grande cortile risale ai lavori di modifica 
progettati dall'architetto Ignazio del Frate nel 1872, durante la gestione 
straordinaria del regio commissario Alessandro d’Emarese. L’elegante fontana 
posta al centro, del Maderno, ricorda, nei rilievi raffiguranti l'aquila e il 
drago dello stemma Borghese, decorazione della vasca, il pontificato di Paolo V. 
A destra è l’ingresso della Cappella annessa al Monte, la cui officiatura era 
affidata alla Confraternità della Pietà, istituita da Sisto V.  
Il Monte di Pietà venne indicato scherzosamente dai romani come "Monte 
d'Empietà", perché consideravano elevato l’interesse richiesto a chi avesse la 
necessità di farvi ricorso.  |