Il corpo degli Urinatores: primi archeologi subacquei

 

di Annalisa Venditti

Un rilievo votivo del I sec. a.C., rinvenuto ad Ostia Antica nei pressi del Tempio di Ercole ed oggi conservato nel Museo degli scavi costituisce la più antica testimonianza di un recupero subacqueo.

Nella semplicità della figurazione, quasi del tutto preservata, ci viene narrata la storia di un ritrovamento avvenuto più di duemila anni fa, quando i progenitori degli archeologi subacquei si chiamavano urinatores. E’ infatti ormai accertata l’esistenza nell’antica Roma di un corpo di nuotatori specializzati nelle operazioni di dragaggio e nel recupero dei materiali che potevano cadere in acqua durante l’attività di carico e scarico delle merci o in seguito a naufragi. E’ possibile che sul rilievo siano raffigurati proprio sei di loro, mentre con una grande rete si accingono a tirar a galla una statua del bellicoso Ercole. Il simulacro del dio, per chissà quali circostanze sprofondato nel mare, era forse parte del carico di una delle navi che, stracolme di capolavori antichi, giunsero alla volta dell’Urbe dopo il sacco di Atene. Agli urinatores spettava un compenso proporzionale alla profondità di giacenza degli oggetti o delle merci: fino a circa quindici metri ricevevano un terzo del valore recuperato, fino a ventisette la metà. La loro sede a Roma è stata ipotizzata nei pressi del porto fluviale e all’isola Tiberina, dove il traffico mercantile era intenso e febbrile. Non si può tuttavia escludere che il rilievo rappresenti il ritrovamento fortuito di un gruppo di pescatori ostiensi: possiamo immaginare la loro emozione se, come si evince, nelle scene successive, proprio in seguito al “miracoloso” ripescaggio venne inaugurato un nuovo culto del dio. Un po’ come sarebbe accaduto nei secoli a venire con le sacre immagini portate dall’acqua: una per tutte, la cosiddetta “Madonna della Lampada”, ancor oggi visibile sull’Isola Tiberina. Il mare ed i fiumi ci hanno restituito e tuttora ci restituiscono straordinari capolavori antichi, ma altrettanto importanti sono le testimonianze per così dire “minori” celate nelle loro profondità. E’ spesso il sensazionalismo delle grandi scoperte a prendere il sopravvento e problemi come la necessità di un attento monitoraggio delle emergenze subacquee e, successivamente, la conservazione e musealizzazione dei manufatti portati in superficie, restano inevitabilmente all’ordine del giorno.

“I risultati dell’archeologia subacquea colpiscono molto l’immaginario del pubblico – ha spiegato Roberto Petriaggi, archeologo dell’Istituto Centrale del restauro di Roma durante una conferenza tenutasi all’Università La Sapienza - perché vengono resi noti recuperi di opere d’arte e di oggetti antichi. Nella divulgazione non scientifica può, tuttavia, accadere che l’oggetto archeologico assuma una posizione di contorno rispetto ad un’attività che viene percepita in maniera ludica. La disciplina è spesso presentata come commestibile alle masse, quando in realtà richiede una robusta preparazione scientifica, applicazione di strategie complesse e di strumentazioni adeguate”.


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