A Pietro Carganico si deve l’idea di costruire uno
stabilimento di piscicultura e un acquario nella Capitale. Nel 1882 il Consiglio
Comunale gli diede gratuitamente la parte centrale di piazza Manfredo Fanti
all’Esquilino. La concessione dell’area prevedeva, oltre alla restituzione al
Comune del terreno con i fabbricati costruiti qualora l’attività non si fosse
rivelata produttiva, anche la realizzazione in tempi brevi della costruzione.
Il progetto dell’Acquario e del suo giardino si devono a
Ettore Bernich, che si ispirò all’architettura classica combinandola con le
tipologie moderne.
L’edificio fu terminato alla fine del 1885, ma
l’inaugurazione avvenne nel maggio 1887.
Durante questo periodo il Carganico venne estromesso dalla
iniziativa e la gestione passò alla Società Anonima Acquario Romano che dopo
alcuni anni fallì, per cui il Comune tornò alla fine del 1891 ad essere
proprietario del terreno. La gestione della struttura rivelò subito non poche
difficoltà per il Comune, che dovette far fronte a numerose opere di
manutenzione.
Dal 1893 al 1900 l’edificio rispose agli usi più svariati. La
sala centrale e le gallerie vennero adibite per esposizioni vinicole,
alimentari, artistiche, per assemblee, riunioni, concorsi pubblici e palestre
per le scuole del quartiere.
Gli Uffici Comunali nel 1895 elaborarono un progetto per la
sua trasformazione in stabilimento di bagni pubblici, ma si pensò anche di
restituire l’Acquario alla sua originaria destinazione. Le trattative avviate
nello stesso 1895 con Decio Vinciguerra, già direttore dell’Acquario e poi della
R. Stazione di Piscicultura, si conclusero nel 1900 con una convenzione
stipulata con il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, che non ebbe
il riscontro atteso.
Alla fine del primo decennio del nuovo secolo l’Acquario era
divenuto una sala di spettacoli popolari: ospitò Ettore Petrolini e Raffaele
Viviani, operette e spettacoli di varietà.
Fino all’inizio degli anni ’20, l’Acquario fu usato come
teatro, sala cinematografica e a volte circo equestre. Nel 1930 già da tempo era
adibito a magazzino del Governatorato e del Teatro dell’Opera. Negli anni
successivi si pensò persino di demolire l’edificio, considerato una "bruttura",
oppure di utilizzarlo come stazione per le linee automobilistiche che collegano
Roma con i paesi del Lazio e dell’Abruzzo. Non si escluse nel 1940 la
possibilità di destinarlo a cinema teatro con ristorante e taverna.
L’edificio continuò ad essere usato come magazzino e sede di
uffici elettorali, del tesseramento, ospitò materiale dell’Ente Assistenza Roma
e quello scenico del Teatro dell’Opera. Alla fine del 1984 venne sgomberato per
i lavori di recupero promossi dal Comune di Roma.
Il giardino conserva poche testimonianze del suo aspetto
originario. Il percorso principale, in asse con il prospetto dell’edificio, era
segnato da un vialetto e da due ponticelli rustici che servivano per passare
sopra il piccolo specchio d’acqua. L’ingresso, sul lato di via Cattaneo, era
annunciato da una piccola costruzione monumentale con un portico,
successivamente demolita.
La parte principale del laghetto circondava anche i resti
delle mura serviane ed una parte del rudere a pianta quadrata.
Sul fronte dell’edificio sotto le due rampe di scale è ancora
visibile una parte della fontana originale, concepita come una grotta. Un
piccolo ruscello d’acqua, destinato all’allevamento dei pesci, correva lungo le
parti laterali e quella posteriore dell’edificio e comunicava con i locali del
sotterraneo dove si trovavano alcuni vasconi.
All’esterno si percepisce subito la monumentalità
dell’edificio: un corpo cilindrico a base ellittica unito a un avancorpo di
ingresso con arco a nicchione. L’accesso avviene attraverso due rampe di scale
simmetriche del podio antistante l’avancorpo. Il corpo cilindrico ha un doppio
ordine di semicolonne con capitello dorico e paraste corinzie che cadenzano
lungo il perimetro le finestre. L’effetto monumentale è sottolineato anche dagli
aggetti e dall’uso del bugnato rustico.
L’avancorpo presenta una ricchissima decorazione ispirata a
temi acquatici. Ai lati del nicchione centrale sono poste due edicole ornate con
sculture in stucco trattato a finto bronzo, raffiguranti a destra "La Pesca" e a
sinistra "La Navigazione". Alla "Pesca" si ispirano i due tondi a rilievo che
sormontano le edicole, inquadrati da due cariatidi.
Il fregio della cornice di coronamento con i due delfini con
il tridente si riallaccia a quello delle terme di Agrippa al Pantheon. A
coronamento dell’attico è posto un gruppo realizzato in malta raffigurante il
carro di Venere trainato da un tritone e una nereide.
La finitura superficiale dell’esterno dell’edificio è ad
intonaco dipinto a finto travertino, con alcune parti della zoccolatura, del
podio e della balaustra in travertino.
All’interno, l’atrio ha il compito di introdurre alla
spettacolarità della sala centrale. Le statue nelle nicchie, in gesso dipinto
con porporina, si ispirano a modelli antichi. Interessanti le pitture poste
simmetricamente sulle pareti laterali, sopra le porte di accesso al corridoio
anulare. Quella di destra, raffigura l’esterno dell’Acquario, mentre quella di
sinistra riproduce il Monumento a Vittorio Emanuele II.
La sala centrale, ricca e spettacolare, è scandita da un
doppio ordine di colonne corinzie in ghisa che sostengono la galleria superiore
e il soffitto, a cui corrisponde lungo i muri perimetrali un doppio ordine
corinzio di semicolonne e paraste. Al piano terra erano vasconi in muratura
decorati da rocce, delimitati da una vetrina nell’apertura della sala centrale e
costruiti nello spazio retrostante del corridoio anulare.
La copertura della sala era costituita da una
controsoffittatura semivoltata, dipinta da Giuseppe Toeschi, che si raccordava
all’apertura del lucernario centrale, oggi in parte modificato, con un andamento
ellittico.
Le pitture del Toeschi erano ispirate, come il resto della
decorazione, a temi mitologici riferiti all’elemento acquatico.
Il terzo e il settimo riquadro, a partire da sinistra
entrando, risultano ridipinti in epoca posteriore, altre due pitture sono
mancanti, mentre per quelle vicino all’uscita laterale destra il recupero è
stato più difficile. Esemplificativo della minuziosità e raffinatezza degli
intenti decorativi è il palco reale con le mensole a forma di rostro di nave. Il
pavimento a mosaico riproponeva al centro lo stesso disegno della struttura del
lucernario.
Il complesso monumentale dell’ex Acquario Romano è
attualmente riconvertito in Casa dell’Architettura.