Due donne chiamate Giulia:  ecco le "pene" di Augusto

 

di Annalisa Venditti

L’Imperatore Augusto, passato alla storia anche per aver promosso una severa politica moralizzatrice dei costumi romani, in casa di certo non dormì sonni tranquilli: la figlia Giulia, nata dal suo primo matrimonio con Scribonia, fu donna di facili avventure. Secondo lo storico Velleio Patercolo, "nella sua libidine commise e subì tutte le turpitudini che sono possibili a una donna", mentre a quanto riferisce Seneca "contava gli amanti a dozzine e di notte si dava alla pazza gioia per le vie della città". "Scelse come teatro dei suoi amplessi – ricordava il filosofo – addirittura il Foro e la tribuna dalla quale suo padre aveva promulgato le leggi contro l’adulterio. Era arrivata ad una tale degradazione che, al pari di una prostituta, si concedeva ad amanti sconosciuti". Solo prestando fede a quanto riferito dagli scrittori antichi possiamo comprendere i motivi (sicuramente gravissimi) che spinsero Augusto ad allontanarla da Roma alla stregua di un nemico pubblico, esiliandola nell’odierna isola di Pantelleria. Lo storico Dione Cassio accenna alla faccenda sottolineando che Augusto ignorò per molto tempo la condotta della figlia. "Quando però seppe, fu talmente indignato da non limitarsi al proprio rincrescimento personale, presentando la questione, così com’era, davanti al Senato". Il documento di accusa fu letto da un questore, poiché Augusto, racconta Svetonio, "per molto tempo non volle incontrare nessuno, tanta era la vergogna. Esaminò persino la possibilità di far uccidere la figlia" e quando Febe, una delle complici di Giulia, si suicidò, l’Imperatore disse che avrebbe preferito essere suo padre. Dopo un anno di esilio, Giulia ricevette una lieve mitigazione della pena: abbandonata quell’isola desolata, fu trasferita nella fortezza di Regium, oggi Reggio Calabria, dove morì all’età di cinquantatre anni.

Tale madre, si sa, tale figlia. E visto che il sangue non è acqua anche la nipote di Augusto, Giulia Minore, sulla scia dell’esempio materno, molto fece chiacchierare di sé. Ormai, come ebbe a definirla lo storico Velleio Patercolo, "un’orrenda tempesta" era piombata sulla casa di Augusto. La nipote, anch’essa adultera come la madre, venne allontanata da Roma ed esiliata a Trimetro, un’isola a largo della Puglia dove fu segregata per ben vent’anni. Pare che nel suo scandalo fosse coinvolto in qualche modo anche il poeta Ovidio, condannato a subire la medesima pena. L’autore de "L’arte d’amare" fu esiliato a Tomi, sul Mar Nero, dove spesso, nei sui scritti, fece cenno ai motivi della sua triste sorte, ma sempre troppo genericamente per permetterci di capire come in effetti andarono le cose. Forse il poeta, in amicizia con Silano, l’amante di Giulia Minore, aveva favorito gli incontri clandestini dei due, fornendo loro una buona copertura. Neppure si può escludere l’eventualità che gli adulteri fossero stati colti in flagranza di reato proprio in casa di Ovidio che, così, si era trovato direttamente coinvolto nella scabrosa vicenda.


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