La sigla S.P.Q.R.,
simbolo della città eterna, fu coniata nell’antichità e vuol dire semplicemente
"Senatus PopulsQue Romanus", il Senato e il Popolo di Roma, ma la sarcastica
fantasia dei quiriti si è sbizzarrita, nel corso dei secoli, ad attribuirle i
significati più svariati. Anche Giuseppe Gioacchino Belli, in un sonetto del 4
maggio 1833, ne fornì una spiegazione dal sapore chiaramente anticlericale:
Quell’esse, pe,
cu, erre, inarberate
sur portone de
quasi ogni palazzo,
quelle so’
quattro lettere der cazzo
che nun vònno dì
gnente, compitate.
M’aricordo però
che da regazzo,
quanno leggevo a
forza de frustate,
me le trovavo
sempre appiccicate
drent’in dell’abbeccé’
tutte in un mazzo.
Un giorno arfine
me te venne l’estro
de dimannanne
un po’ la spiegazzione
a don Furgenzio
ch’era er mi’ maestro.
Ecco che m’arispose
don Furgenzio:
" Ste lettre
vònno dì, sor somarone,
soli preti qui
régneno: e silenzio ".