Al calar della sera, mancando
l’illuminazione notturna delle strade, l’antica Roma piombava nell’oscurità. Le
tenebre potevano essere squarciate dal bagliore improvviso della torcia di
qualche ritardatario che, di buona lena, si affrettava a raggiungere la propria
abitazione.
Al chiarore della di luna si
svolgevano i funerali dei cittadini più poveri, a cui era precluso il fasto
delle esequie tradizionali: i corpi venivano umilmente composti su una barella
dagli schiavi pubblici e, attraverso un breve corteo, gettati nella fossa
comune. Il poeta Marziale ci ha tramandato un divertente imprevisto accaduto ad
un viaggiatore gallo, avventuratosi in una "lugubre" notte romana. Era quasi
l’alba e l’imprudente turista stava tornando all’albergo quando il caso volle
che inciampasse e per il gran colpo ricevuto svenisse. Quattro schiavi pubblici
che trasportavano sulla lettiga un morto, vedendolo, si impietosirono e decisero
di "abbandonare" gli obblighi del loro ufficio per aiutarlo: lasciarono il
cadavere a terra, caricarono il gallo sulla lettiga e così lo condussero
all’albergo.
Di notte non era prudente
inoltrarsi nei viottoli della città: la capitale dell’impero si trasformava nel
"regno" di ladruncoli, rapinatori, giovanotti in cerca di guai e prostitute.
Mancavano sia la luce che il silenzio: gli abitanti, condannati all’insonnia, si
lamentavano del fracasso provocato dai carri pesanti che avevano il permesso di
transitare nelle ore notturne, per evitare l’affollamento del giorno. La vita
economica della città non si acquietava mai. Roma, anche avvolta dalle tenebre,
era la città del rumore. Al frastuono dei carri si aggiungevano il chiasso degli
ubriaconi e gli schiamazzi dei giovanotti che uscivano dai bordelli o si
divertivano con qualche ragazza di strada. Neppure le cosiddette forze
dell’ordine erano impermeabili alle "tentazioni" della notte. Pare che il
magistrato Aulo Ostilio Mancino, responsabile della sicurezza delle strade,
abbandonasse i suoi doveri per una clamorosa "piazzata" dinanzi all’uscio della
prostituta Manilia. Invece di proseguire la ronda notturna, pretendeva, in virtù
del suo potere giurisdizionale, di partecipare alla "festa" organizzata in casa
dalla meretrice. La donna, indispettita da tanta insistenza, zittì il fastidioso
magistrato in malo modo: mentre l’uomo continuava a battere al suo uscio,
facendo un gran baccano, gli gettò dal primo piano un sasso in testa. Il
magistrato sporse denuncia contro la temeraria Manilia, ma non ebbe la
soddisfazione sperata. I tribuni della plebe, interpellati dalla meretrice,
impedirono ad Aulo Ostilio Mancino di intentare un processo ai suoi danni,
poiché fu giudicato gravissimo che un pubblico ufficiale, peraltro in servizio,
si fosse comportato in modo così disdicevole.