Fu al centro dei pettegolezzi nella Roma repubblicana

Una vita di scandali per la bella Clodia

Celebre il processo in cui Cicerone la trasformò da accusatrice in imputata

 

di Annalisa Venditti

"Dammi mille baci e poi cento e, dopo, mille altri ed altri cento e mille dopo questi e, dopo, cento e, quando saremo sazi di contarli, per scordarli, proseguiamo senza ordine, perché nessuno tessa trappole d’invidia nel vederci tutto un bacio".

Tra le noiose letture scolastiche non si possono certo annoverare questi splendidi e celeberrimi versi di Catullo, destinati ad immortalare ai posteri l’immenso amore provato dal poeta per la bella e seducente Lesbia.

Fiumi di inchiostro sono stati scritti per svelare la vera identità della donna amata da Catullo, "protetta" da un grazioso pseudonimo di origine greca, scelto come doveroso omaggio alla poetessa Saffo, nativa di Lesbo.

Se prestiamo fede ad una notizia riportata dallo scrittore Apuleio, Catullo "sostituì il nome Lesbia a quello di Clodia", intrecciando dunque un’intensa relazione amorosa probabilmente con la "famigerata" sorella di Publio Clodio Pulcro, donna dai facili costumi ed al centro di svariati scandali.

La bella e spregiudicata Clodia, nata probabilmente intorno al 94 a.C., apparteneva ad una delle famiglie aristocratiche e più in vista della tarda repubblica. E’ lo stesso Catullo a parlarci in un suo componimento del legittimo consorte, il nobile Quinto Cecilio Metello, prima governatore della Gallia Cisalpina e poi console. Scriveva il poeta: "Lesbia, presente il marito, parla malissimo di me: questa, per quel balordo, è una gran goduria. Asino, non capisci niente: se ella tacesse, scordandosi di me, sarebbe guarita; ma poiché ringhia e mi denigra, non solo si ricorda ma, cosa che è molto più scottante, ce l’ha con me. Come a dire, brucia e dunque parla". Le malelingue, vista la libera condotta della donna, arrivarono addirittura a dire che fosse legata al fratello, l’altrettanto chiacchierato Publio Clodio Pulcro, da un rapporto incestuoso. Le voci vennero incrementate dal fatto che la sorella spesso lo accompagnava in pubblico e nelle occasioni ufficiali, probabilmente per aiutarlo, grazie ai numerosi contatti di cui si avvaleva, nella sua ascesa politica. Pare che l’affascinante Clodia avesse avuto una burrascosa relazione anche con il "principe" degli oratori, Cicerone. Terenzia, la moglie del principe del foro, non dovette mai perdonargli quella "scappatella" poiché, a quanto ci tramanda lo storico Plutarco, costrinse il marito, in occasione di un processo intentato contro Publio Clodio Pulcro, a testimoniare contro di lui. L’unico fatto certo è che Clodia si innamorò sempre di uomini più giovani: all’incirca dieci anni la separavano da Catullo e anche da Celio Rufo, il giovane di belle speranze che soppiantò nel cuore della donna il tenero poeta. Catullo si disperò: "Rufo, da me scioccamente e invano creduto amico (invano?diciamo piuttosto a caro e salato prezzo), così ti sei insinuato nel mio cuore, e bruciandomi fin le viscere, così hai strappato, a me infelice, ogni bene. Me l’hai strappato, ahi, crudele veleno della nostra vita, ahi, peste della nostra amicizia".

In seguito all’abbandono, Catullo decise di intraprendere un viaggio in Bitinia, ma durante la sua assenza Celio Rufo, pago dei regali e dei privilegi ricevuti dalla vecchia amante, la lasciava, definendola senza mezzi termini "Clitennestra da un quarto di asse". La frase non era solo di spregio, ma alludeva alle voci che giravano sul conto di Clodia, che l’accusavano di aver provocato volontariamente la morte del marito.

Celio Rufo era nato a Pozzuoli da una famiglia abbiente e già molto giovane aveva pronunciato due orazioni che gli erano valse l’ammirazione di Cicerone. Pare che al tempo della congiura fosse stato in ottimi rapporti con Catilina e - abituato al lusso ed ai piaceri della vita cittadina - avesse accumulato parecchi debiti, estinti in buona parte dalle generose elargizioni di Clodia. La donna non si arrese all’idea di essere stata sfruttata e liquidata come una qualsiasi amante ed arrivò al punto, nel 56 a.C., di trascinarlo in tribunale. Fu uno dei processi più chiacchierati della tarda repubblica, pieno, come diremo noi, di veri e propri gossip.

I segreti delle alcove vennero alla luce, le infamie che serpeggiavano sulla bocca di tutti furono manifeste.

Celio Rufo, difeso da Cicerone, fu accusato di aver innescato una sommossa a Napoli, di aver osteggiato la comunità alessandrina di Pozzuoli, di aver derubato Clodia di oro e denaro per far uccidere un uomo e per corromperne un altro e di aver assoldato un sicario per avvelenarla in un bagno pubblico. Se il giovane accusato non si fosse avvalso della difesa del più grande avvocato di tutti i tempi, Cicerone, le sue sorti sarebbero state già decise all’inizio del processo. Il principe del Foro giocò d’astuzia e colse la palla al balzo per vendicarsi di antiche questioni "lasciate in sospeso" con Clodia. L’andamento dell’istruttoria fu letteralmente rovesciato dalla volontà di Cicerone di trasformare il processo contro Celio in uno contro Clodia. Al centro della discussione non furono più le pesanti accuse rivolte a Rufo, ma la moralità di una delle donne più influenti di quel periodo. La strategia politica era quella giusta per fomentare gli animi di tutti quei tradizionalisti che, in una donna come Clodia, non potevano non vedere la crisi degli antichi valori che avevano fatto grande Roma. Così Clodia divenne "una donna senza marito che ha spalancato la porta di casa alla libidine di tutti", propensa a darsi "pubblicamente ad una vita da meretrice", insomma "una sgualdrina sfrontata ed impenitente". Cicerone arrivò al punto di accusare una delle donne più ricche del tempo di essersi concessa ad un bagnino per non pagare l’ingresso alle terme: non si trattava di un’ingiuria gratuita, in questo modo veniva messa in dubbio l’autorevolezza dei testimoni che Clodia aveva portato in tribunale per dimostrare di aver subito un attentato nei bagni pubblici. Messa alla berlina, criticata come una nemica della patria, Clodia perse la causa e Rufo venne assolto dalle gravi colpe che pendevano sul suo capo.

Dopo il processo, non sappiamo cosa accadde alla donna. Nel giro di poco tempo, la sua vita sarebbe stata colpita da due gravi lutti: nel 55 moriva l’amato Catullo, nel 52 il fratello cadeva vittima di un’imboscata sulla Via Appia. Tutti i protagonisti di quegli oscuri fatti perirono miseramente. Quattro anni dopo toccò a Celio Rufo, caduto in un tumulto. Neppure all’astuto Cicerone capitò una sorte migliore: fu Fulvia, la vedova di Clodio, ad istigare il futuro marito Marco Antonio alla vendetta. Nel 43 i sicari del triumviro raggiungevano Cicerone in casa, ponendo fine alla sua illustre vita.


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