Mangiare e bere è la caratteristica che da sempre ha
contraddistinto il popolo romano, cui si è aggiunta, a partire dal Cinquecento,
quella di fumare tanto e dovunque.
L’ingresso a Roma del tabacco è avvenuto in tutta
"religiosità". Inizialmente fu chiamato "Erba Santacroce" dal nome del
suo importatore, il cardinale Prospero Santacroce Publicola, che nel 1561 in
Portogallo conobbe quell’"erba nicotina" che l’ambasciatore francese Jean
Nicot aveva piantato nei giardini reali di Lisbona e alla quale si attribuivano
virtù medicinali per la cura di innumerevoli malattie, tanto da chiamarla
"erba santa". Dopo l’abitudine di masticare le foglie e di fumarle nelle
pipe, subentrò l’uso di fiutare il tabacco, che gli scienziati dell’epoca
battezzarono con il nome di "clisterium nasi".
Appena importato a Roma, il consumo si propagò talmente che
il numero delle botteghe di vendita dei tabacchi superò quelle delle osterie e
dei forni.
Il "merito" del cardinale Santacroce fu ricordato per lungo
tempo dai gestori degli spacci di tabacco, ponendo sull’insegna della bottega
una croce bianca, a volte formata dalla sovrapposizione di due candide fettucce.
L’uso del tabacco fu raccomandato nel ‘600 da Benedetto
Stella, che nel suo "De abusu Tabaci", scrive: "L’uso del tabacco
moderatamente preso, non solo è utile, ma anche necessario a’ Preti, Monache, o
Frati, ed altri Religiosi, che devono e desiderano menar vita casta e reprimere
que’ moti sensuali che cotanto infastidiscono… E’ bene che essi lo prendano ad
imitazione di quel gran Servo di Dio de’ nostri tempi, il P. Giuseppe da
Copertino" "ad occurrendas carnis tentationes".
L’uso del tabacco non ha avuto sempre vita facile a Roma: fu
saltuariamente proibito da qualche pontefice, ma senza successo. Urbano VIII nel
1630 parla di scomunica per i fumatori e nel 1650 Innocenzo X minacciò di
scomunicare chi avesse ardito prendere il tabacco nella Basilica di San Pietro.
Nel 1655 Alessandro VII istituì la privativa del tabacco,
confermata nel 1744 da Benedetto XIV. In quegli anni l’edificio per la
lavorazione del greggio si trovava nell’odierna via Garibaldi. La privativa e
l’appalto del tabacco, aboliti da Benedetto XIV nel 1758 "per essere cosa mal
fatta gravare di fisco un piacere non riprovevole", fu ripristinata, insieme
a quella del sale, dal Governo imperiale francese, che spostò la fabbrica nei
locali attigui alla chiesa di S. Caterina da Siena a Magnanapoli, trasferita da
Pio VII nel 1814 nel monastero delle Convertite e, intorno al 1820, in parte di
quello di S. Margherita a piazza S. Apollonia. Da qui ebbe sede nel palazzo
Lante.
Nel 1831 Gregorio XVI affidò la privativa del tabacco ad una
amministrazione cointeressata, composta dapprima da Carlo e Marino Torlonia e
dal marchese Camillo Pizzardi, in seguito dal solo Alessandro Torlonia, nominato
amministratore esclusivo con l’impegno di versare all’erario la somma di 50.000
scudi come parziale contributo per la costruzione di una nuova manifattura.
Dopo il 1839 il magazzino dei greggi fu trasferito nei locali
dell’Ospedale dell’Arciconfraternita di S.Maria dell’Orto.
L’11 maggio 1851 Roma fu al centro di una clamorosa
iniziativa "patriottica" contro il fumo per infliggere un duro colpo ai proventi
dello Stato Pontificio. In quell’occasione, come annotava il principe Agostino
Chigi, nel suo "Diario", "da vari giorni a questa parte degli
individui sconosciuti, incontrando per le strade delle persone che fumano,
intimano loro di desistere anche con qualche minaccia. La cosa comincia a venire
a noia ai pacifici e tranquilli cittadini". La situazione non cambiò il
giorno successivo: "Una certa intimidazione fa sì che molti si astengano dal
fumare per la strada ed effettivamente (per quanto si assicura) lo spaccio dei
sigari in questi giorni è notevolmente diminuito".
La rivolta "no smoking" produsse gli effetti sperati,
tanto che uno dei principali tabaccai di Roma vide precipitare gli incassi da 17
a 4 scudi giornalieri.
Non mancò la risposta decisa degli sbirri, che iniziarono a
fumare platealmente lungo il Corso nella speranza di arrestare qualche
rivoluzionario. Vicino alla chiesa di San Pantaleo due giovani che, non
riconoscendoli, avevano invitato due sbirri a non fumare, furono arrestati e
"staffilati in buona regola".
Il 16 maggio il cardinale Antonelli fece affiggere una
notificazione con la quale si minacciavano pene da infliggere con giudizio
sommario ai "perturbatori del fumo". Cinque giorni dopo il Chigi ci fa
sapere che "è stato condannato all’opera per venti anni, in virtù dell’Ultima
Notificazione della Segreteria di Stato, un tale Ercoli, giovane merciaio, per
aver tentato di impedire ad un altro, anche con minaccia, di fumare".
Nel 1855 venne istituita la Regìa pontificia del sale e del
tabacco, presieduta dal marchese Giuseppe Ferraioli. Tre anni dopo il reparto
lavorazione sigari scelti Virginia e gli uffici amministrativi si trasferirono
nell’Ospizio di S. Michele, prima di essere definitivamente riuniti nel palazzo
di piazza Mastai, costruito nel 1863 dall’architetto Antonio Sarti. L’interno
della manifattura, oltre ai seminterrati, si articolava su tre piani e intorno a
cinque grandi cortili. Nel 1867 la fabbrica era completamente attrezzata.
La fabbrica pontificia prospettava su una via stretta, che
rendeva difficoltoso il carico e scarico delle materie prime. Per ovviare a
questi inconvenienti fu deciso di aprire una piazza davanti alla fabbrica ed una
comoda strada, via Mastai, l’odierna via Merry del Val.
I lavori, che iniziarono nel marzo 1863, furono affidati ad
Andrea Busiri Vici. La piazza, che prese il nome di papa Mastai, fu abbellita da
alberi e da una fontana centrale.