Consigliato nel ‘600, in dosi moderate, a monache e frati

Tabacco: "erba santa" contro ogni tentazione

Fiutato, masticato, fumato nelle pipe da uomini e donne, si tentò di proibirlo con la scomunica

di Antonio Venditti

 

Mangiare e bere è la caratteristica che da sempre ha contraddistinto il popolo romano, cui si è aggiunta, a partire dal Cinquecento, quella di fumare tanto e dovunque.

L’ingresso a Roma del tabacco è avvenuto in tutta "religiosità". Inizialmente fu chiamato "Erba Santacroce" dal nome del suo importatore, il cardinale Prospero Santacroce Publicola, che nel 1561 in Portogallo conobbe quell’"erba nicotina" che l’ambasciatore francese Jean Nicot aveva piantato nei giardini reali di Lisbona e alla quale si attribuivano virtù medicinali per la cura di innumerevoli malattie, tanto da chiamarla "erba santa". Dopo l’abitudine di masticare le foglie e di fumarle nelle pipe, subentrò l’uso di fiutare il tabacco, che gli scienziati dell’epoca battezzarono con il nome di "clisterium nasi".

Appena importato a Roma, il consumo si propagò talmente che il numero delle botteghe di vendita dei tabacchi superò quelle delle osterie e dei forni.

Il "merito" del cardinale Santacroce fu ricordato per lungo tempo dai gestori degli spacci di tabacco, ponendo sull’insegna della bottega una croce bianca, a volte formata dalla sovrapposizione di due candide fettucce.

L’uso del tabacco fu raccomandato nel ‘600 da Benedetto Stella, che nel suo "De abusu Tabaci", scrive: "L’uso del tabacco moderatamente preso, non solo è utile, ma anche necessario a’ Preti, Monache, o Frati, ed altri Religiosi, che devono e desiderano menar vita casta e reprimere que’ moti sensuali che cotanto infastidiscono… E’ bene che essi lo prendano ad imitazione di quel gran Servo di Dio de’ nostri tempi, il P. Giuseppe da Copertino" "ad occurrendas carnis tentationes".

L’uso del tabacco non ha avuto sempre vita facile a Roma: fu saltuariamente proibito da qualche pontefice, ma senza successo. Urbano VIII nel 1630 parla di scomunica per i fumatori e nel 1650 Innocenzo X minacciò di scomunicare chi avesse ardito prendere il tabacco nella Basilica di San Pietro.

Nel 1655 Alessandro VII istituì la privativa del tabacco, confermata nel 1744 da Benedetto XIV. In quegli anni l’edificio per la lavorazione del greggio si trovava nell’odierna via Garibaldi. La privativa e l’appalto del tabacco, aboliti da Benedetto XIV nel 1758 "per essere cosa mal fatta gravare di fisco un piacere non riprovevole", fu ripristinata, insieme a quella del sale, dal Governo imperiale francese, che spostò la fabbrica nei locali attigui alla chiesa di S. Caterina da Siena a Magnanapoli, trasferita da Pio VII nel 1814 nel monastero delle Convertite e, intorno al 1820, in parte di quello di S. Margherita a piazza S. Apollonia. Da qui ebbe sede nel palazzo Lante.

Nel 1831 Gregorio XVI affidò la privativa del tabacco ad una amministrazione cointeressata, composta dapprima da Carlo e Marino Torlonia e dal marchese Camillo Pizzardi, in seguito dal solo Alessandro Torlonia, nominato amministratore esclusivo con l’impegno di versare all’erario la somma di 50.000 scudi come parziale contributo per la costruzione di una nuova manifattura.

Dopo il 1839 il magazzino dei greggi fu trasferito nei locali dell’Ospedale dell’Arciconfraternita di S.Maria dell’Orto.

L’11 maggio 1851 Roma fu al centro di una clamorosa iniziativa "patriottica" contro il fumo per infliggere un duro colpo ai proventi dello Stato Pontificio. In quell’occasione, come annotava il principe Agostino Chigi, nel suo "Diario", "da vari giorni a questa parte degli individui sconosciuti, incontrando per le strade delle persone che fumano, intimano loro di desistere anche con qualche minaccia. La cosa comincia a venire a noia ai pacifici e tranquilli cittadini". La situazione non cambiò il giorno successivo: "Una certa intimidazione fa sì che molti si astengano dal fumare per la strada ed effettivamente (per quanto si assicura) lo spaccio dei sigari in questi giorni è notevolmente diminuito".

La rivolta "no smoking" produsse gli effetti sperati, tanto che uno dei principali tabaccai di Roma vide precipitare gli incassi da 17 a 4 scudi giornalieri.

Non mancò la risposta decisa degli sbirri, che iniziarono a fumare platealmente lungo il Corso nella speranza di arrestare qualche rivoluzionario. Vicino alla chiesa di San Pantaleo due giovani che, non riconoscendoli, avevano invitato due sbirri a non fumare, furono arrestati e "staffilati in buona regola".

Il 16 maggio il cardinale Antonelli fece affiggere una notificazione con la quale si minacciavano pene da infliggere con giudizio sommario ai "perturbatori del fumo". Cinque giorni dopo il Chigi ci fa sapere che "è stato condannato all’opera per venti anni, in virtù dell’Ultima Notificazione della Segreteria di Stato, un tale Ercoli, giovane merciaio, per aver tentato di impedire ad un altro, anche con minaccia, di fumare".

Nel 1855 venne istituita la Regìa pontificia del sale e del tabacco, presieduta dal marchese Giuseppe Ferraioli. Tre anni dopo il reparto lavorazione sigari scelti Virginia e gli uffici amministrativi si trasferirono nell’Ospizio di S. Michele, prima di essere definitivamente riuniti nel palazzo di piazza Mastai, costruito nel 1863 dall’architetto Antonio Sarti. L’interno della manifattura, oltre ai seminterrati, si articolava su tre piani e intorno a cinque grandi cortili. Nel 1867 la fabbrica era completamente attrezzata.

La fabbrica pontificia prospettava su una via stretta, che rendeva difficoltoso il carico e scarico delle materie prime. Per ovviare a questi inconvenienti fu deciso di aprire una piazza davanti alla fabbrica ed una comoda strada, via Mastai, l’odierna via Merry del Val.

I lavori, che iniziarono nel marzo 1863, furono affidati ad Andrea Busiri Vici. La piazza, che prese il nome di papa Mastai, fu abbellita da alberi e da una fontana centrale.

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