Nel ‘600 vi abitarono anche Rubens, Poussin e Claude Lorrain

A via Margutta l’arte è di casa

Pittori fiamminghi e olandesi formarono una compagnia di gaudenti, gli " Uccelli della Banda"

di Cinzia Dal Maso

 

Via Margutta è un angolo silenzioso e pieno di verde nel cuore della vecchia Roma.

Il suo nome è indissolubilmente legato agli artisti: non ci sono monumenti di rilievo in questa piccola Montmartre romana, se non le memorie dei pittori e degli scultori che qui hanno vissuto e lavorato, oltre agli studi di quanti ancora vi operano.

La via cominciò a formarsi tra il 1550 ed il 1557 in un’area malfamata presso Porta Flaminia. Tra via Ripetta e il Corso era l’Ortaccio, la contrada dove abitavano le prostitute di infimo rango. Pio V, nel 1569, la trasformò addirittura in una sorta di "ghetto", dove quelle derelitte erano confinate. A pochi passi da lì, ai piedi del Muro Torto, si trovava il cimitero delle "putte", le meretrici, che accoglieva anche i resti dei condannati a morte.

Via Margutta sembra aver preso il nome da un barbiere che lì aveva la sua bottega. Altri vogliono, invece, che la sua denominazione derivi da un teatro nelle vicinanze, dove si rappresentavano le gesta dei paladini Orlando e Margutte, il grossolano eroe del Morgante Maggiore di Luigi Pulci.

Fin dall’inizio, un insieme di circostanze determinò il concentrarsi di artisti, soprattutto stranieri, nella via e nelle sue vicinanze. Tanto per cominciare, il pontefice Paolo III, responsabile della sistemazione urbanistica della zona, aveva concesso l’esenzione delle tasse sull’esercizio delle professioni e dei mestieri a quanti, venuti da fuori, si fossero stabiliti nella via Paolina, l’attuale via del Babuino, o nella parallela via Margutta. Inoltre, tra la congerie di gente che frequentava questa parte di Roma, era facile trovare modelli pittoreschi, soprattutto contadini, mendicanti, pescatori, pellegrini, persino piccoli malfattori. Questi ultimi attendevano al varco gli sprovveduti forestieri che entravano a Roma dalla porta Flaminia, l’attuale porta del Popolo. L’insieme era reso ancora più suggestivo dalla distesa degli orti che più tardi diverranno i giardini del Pincio.

Molti pittori, soprattutto fiamminghi ed olandesi, tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600, risultano residenti nei pressi di via Margutta. Nella via Paolina troviamo, tra il 1594 ed il 1595, il famoso paesaggista fiammingo Paolo Bril. Dal 1606 al 1608 vi abitò Pierre Paul Rubens, allora appena trentenne, e dal 1624 al 1640 Nicolas Poussin con la moglie Anna Maria ed il nipote Gaspar Dughet.

Ancora ai primi anni del XVII secolo abitavano a via Margutta artisti famosi, come Valentin de Boulogne, lo scultore lorenese David la Riche, Jean van Bijlert, Etienne Pelletier, Jean Duchamps e Pietro Van Laer, detto "il Bamboccio" a causa dell’aspetto deforme. Dal 1625 in una casa di via Margutta vivevano il vedutista Claude Lorrain, Jacopo Blasard e Giampietro Vernet. Di fronte a loro stavano due pittori francesi, Antonio Pierson e Paolo Erard.

Intorno al 1623, gli artisti olandesi e fiamminghi di Roma si unirono in una vera e propria compagnia, la "Banda dei pittori neerlandesi" dove regnavano solidarietà e spensieratezza, con il quartiere generale a via Margutta e il recapito principale presso la casa del "Bamboccio". I soci, per lo più giovani tra i 20 ed i 25 anni, si chiamavano gli "Uccelli della Banda". Principale attività del sodalizio erano le frequenti riunioni conviviali con abbondanti libagioni in tutte le osterie di Roma, ma la "Banda" al completo era pronta a correre in aiuto di qualsiasi suo componente. Le occasioni non mancavano: la maggior parte delle volte si trattava di liberare un socio "menato prigione a Tordinona", di solito per qualche rissa fomentata dai fumi dell’alcool. In tal caso, qualcuno faceva intervenire un cardinale di sua conoscenza, o un principe, oppure trovava un avvocato tra i suoi clienti. Alla fine, uno degli espedienti più usati era chiedere di poter essere ascoltati dal giudice in blocco a favore dell’amico, come "testimoni oculari".

Particolarmente curiosa era la cerimonia con cui veniva accolto nella compagnia un nuovo adepto, che doveva essere presentato da un "paraninfo" ad almeno nove soci, ma quasi sempre tra i quaranta ed i sessanta. Si cominciava con l’assegnare i ruoli: il più grasso del gruppo sarebbe stato "Bacco", un altro il "sacerdote agreste", quello che portava l’alabarda in segno di dignità lo "Svizzero". Dopo una breve orazione pronunciata da "Bacco", il "sacerdote agreste" impartiva il battesimo all’iniziato, naturalmente con il vino, e gli imponeva un soprannome. All’alba l’allegra brigata, certo non sobria, si portava con una sgangherata processione fino al Mausoleo di Santa Costanza, detto "Sepolcro di Bacco". Qui si trovava ancora il monumentale sarcofago della figlia di Costantino, dal 1778 al Museo Vaticano, con la cassa di porfido decorata da viti e puttini vendemmianti, ritenuto dalla banda di gaudenti la tomba del dio del vino. Lì davanti gli artisti facevano, con compunta riverenza, l’ultima libagione, quindi i neofiti lasciavano le loro firme sul muro ai lati del sarcofago. Questi nomi, scritti a sanguigna, a matita o graffiti, si leggono ancora sulle pareti di Santa Costanza, con grande disappunto degli archeologi cristiani, che considerano gli "Uccelli della Banda" poco più che vandali imbrattatori di monumenti. D’altro canto, costituiscono un prezioso documento per conoscere la composizione della colonia olandese di Roma. Vi spiccano nomi famosi, come Arnoldus Doudelet, il "Crogiuolo", Hendrik Smidts, il "Pastor Fido", Gaspar van Wittel, la "Torcia", Jan de Craen, il "Muto Gridatore".

La vita degli artisti continuò con alti e bassi in via Margutta per tutto il XVII secolo. Nel 1869 vi si stabilirono i due celebri fratelli van Bloemen di Anversa: Giovan Francesco, chiamato "l’Orizzonte" e Pietro, lo "Stendardo". Nel Settecento la vita culturale della strada cominciò a decadere, soprattutto perché molti artisti preferivano quartieri più eleganti. Gli studi carichi di ricordi venivano trasformati in magazzini e fienili. Nel 1720 furono persino proibite, per motivi di ordine pubblico, le riunioni degli "Uccelli della Banda".

All’imbocco della strada verso piazza di Spagna veniva costruito, nel 1716, il Teatro d’Alibert, il più grande di Roma, con i suoi 900 posti in platea e 244 palchetti su sette ordini di altezza.

Bisognerà aspettare la metà dell’Ottocento per veder tornare a via Margutta i pittori, che da allora non l’hanno più lasciata.

 
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