Un cavallo portava a San
Pietro un vaso pieno di monete d’oro
L’omaggio del re di Napoli al papA

Una delle feste più spettacolari e amate dai
romani era la presentazione dell’omaggio della chinea, che il re di
Napoli tributava al pontefice in segno di omaggio, tramite un
cavallo addestrato a muo¬vere contemporaneamente le zampe del lato
destro e poi quelle del sinistro.
La presentazione avveniva, dopo una solenne sfilata nelle strade
della città, nella basilica di S. Pietro, dopo il vespro
pontificale, appena il papa arrivava all’altezza delle due grandi
acquasan¬tiere. Il cavallo doveva inginocchiarsi, ma spesso si
rifiutava di farlo. Il tributo era in un vaso d’argento sulla sella.
Il cavallo era accompagnato da un ambasciatore straordinario del re
di Spagna e del reame di Napoli e poi dai re delle Due Sicilie, i
quali tentarono di sottrarsi al riconosci¬mento del vassallaggio,
abolendo la cerimonia e mandando solo il denaro, ma come atto di
devozione ai Santi Pietro e Paolo. Il papa si oppose, finché nel
1788 il re di Napoli sospese l’invio della chinea: Pio VI
(1775-1799) protestò con veemenza come fecero i suoi successori.
La consuetudine della chinea nacque con Carlo D’Angiò (1226-1285)
che - tra gli accordi con Clemente IV (1265-68) per la conquista del
regno di Manfredi – si impegnò a versare annualmente alla Santa
Sede, nella festa dei SS. Pietro e Paolo, un censo di ottomila once
d'oro e a presentargli unum palefridum album pulcrum et bonum.
La quantità del censo variò in seguito con gli Angioini e qualche
volta venne sospeso per i rapporti politici ostili tra i sovrani e i
papi.
Nei secoli successivi alla cerimonia dell'omaggio e del censo si
aggiunse regolarmente ogni anno il 28 giugno, vigilia della festa
degli Apostoli, quella della solenne cavalcata a Roma.
Nel 1776, prendendo spunto da una lite di precedenza tra il seguito
dell'ambasciatore di Spagna e quello del governatore di Roma durante
la cavalcata per offrire a Pio VI (1775-1799) il tributo e il
cavallo, Bernardo Tanucci abolì la cerimonia e ridusse un “atto di
divozione" del re verso i Santi Apostoli alla presentazione
dell’offerta pecuniaria tramite un agente delegato dal suo ministro
a Roma. Ma di lì a tre mesi il Tanucci venne licenziato e Ferdinando
IV (1759-99) fu indotto dalla corte pontificia al consueto omaggio.
Così il 21 giugno 1777 si svolse la funzione nell'imminente vigilia
dei Santi Apostoli; e così negli anni successivi fino al 1788 quando
il ministro Domenico Caracciolo ordinò al regio incaricato d'affari
a Roma di offrire il solo censo.
Da allora in poi, ogni anno il 28 giugno il ministro di Napoli a
Roma cominciò a depositare presso il Monte di pietà il censo e il
papa iniziò a esprimere i suoi rifiuti e le sue proteste.
Ferdinando IV però, quando Napoleone lo spodestò dal regno di
Napoli, diede assicurazioni a Pio VII che gli avrebbe offerto la
chinea al modo antico non appena riconquistato il trono. Però,
ritornato a Napoli e invitato a mantenere fede alla promessa, il re
rispose che la feudalità era finita: offrì una somma per il censo e
la chinea, ma in relazione alla questione di Benevento e di
Pontecorvo.
Il papa rifiutò la proposta e tornò a ricordare invano la promessa
ricevuta. Né Ferdinando I né il suo successore si piegarono ad
appagare il desiderio del papa, dal momento che ogni anno questo
rito si ripeteva con il malcontento del popolo napoletano, che
avrebbe voluto quei ducati per le fa¬miglie più povere. Fiera era
anche l’opposizione di giuristi e finanzieri.
Solo nel 1855 Ferdinando II offrì diecimila scudi per il monumento
dell'Immacolata Concezione a Roma, chiedendo a Pio IX di essere
esonerato per sempre da ogni altro tipo di tributo o omaggio.
di
Antonio
Venditti
23 maggio 2017
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