In due mosaici lanciano
invettive contro gli astiosi
A Ostia i pescatori temevano l’invidia

Le fonti epigrafiche testimoniano che Ostia già nel I
secolo a. C. doveva avere un macellum, ossia il mercato dove era venduta la
carne. Un’iscrizione, infatti, rende noto che un magistrato ostiense, P. Lucilio
Gamala – noto per aver costruito i Quattro Tempietti - donò dei pesi al macellum,
possiamo supporre tra il 90 e il 60 a. C. Da un’altra epigrafe sappiamo che in
età augustea due liberti eseguirono un restauro. L’edificio che vediamo oggi fu
costruito all’epoca degli Antonini, ossia nel II secolo d. C. Si trovava in un
punto molto frequentato della città, dove il decumano massimo incrociava via
della Foce, poco al di fuori della cinta muraria del IV secolo a. C. La sua
importanza è provata dalle numerose ricostruzioni che lo interessarono nel corso
dei secoli. Ha pianta trapezoidale e fu edificato su una domus di epoca tardo
repubblicana, in linea con altre abitazioni simili poste sul decumano. Il
Macellum fu nuovamente restaurato da Aurelio Anicio Simmaco all’inizio del V
secolo d. C.
Di epoca antoniniana sono il portico all’angolo tra via del Pomerio e il
decumano e l’ingresso monumentale, sullo stesso decumano, con un protiro a
colonne corinzie.
Nella prima metà del III secolo, ai lati dell’ingresso, furono ricavate nel
portico, con tramezzi in opera listata, due eleganti tabernae, con tanto di
tavoli per la vendita. Il soggetto della decorazione pavimentale musiva e le
vasche marmoree hanno permesso di supporre che queste fossero le botteghe dove
si vendeva il pesce. In particolare, in quella di sinistra, c’è un mosaico a
tessere bianche e nere con un delfino che tiene in bocca un polipo con una
scritta, una sorta di invettiva, che recita: “inbide, calco te”, ossia
“invidioso, ti calpesto”. Evidentemente, il delfino, che noi consideriamo un
animale molto simpatico, non godeva di eguale stima presso i romani, soprattutto
tra i pescatori, che lo ritenevano un disturbatore del loro lavoro. Inoltre, tra
i pescatori ostiensi dovevano esserci del malcontento e una forte rivalità per
la scarsità del pesce, anche se l’imperatore Claudio aveva tentato – con scarso
successo - di ripopolare le acque con lo scaro dei Dardanelli, un esemplare
dalla brillante livrea verde diffuso soprattutto nel Mediterraneo orientale.
Nel mosaico al piano terra dell’insula dell’Invidioso tornano i temi della pesca
e dell’invidia: un uomo sta sulla sua barchetta, che si muove nel mare,
circondata da animali acquatici. Un ragazzino, contrassegnato dalla scritta
“inbidiosos” sembra fargli un gesto di scongiuro con le dita divaricate.
Dalle colonne d’ingresso del macellum, un lungo corridoio conduce al piazzale
interno del mercato, con pavimentazione in marmo e una grande vasca centrale.
Sul fondo è un podio, al di sotto del quale ci sono alcuni ambienti aditi a
deposito. Sul podio c’è una fila di colonne, delle quali la terza a sinistra ha
un’iscrizione, in verticale, di discussa interpretazione: “lege et intellige
mutu loqui ad macellu”. Qualcuno ha proposto di considerare il termine “mutu”
come “multum”. In questo caso la traduzione sarebbe: “Leggi e capisci che al
mercato si fanno molte chiacchiere”. Altri studiosi, invece, hanno notato che la
formula iniziale caratterizza alcuni scritti cristiani e hanno proposto un’altra
interpretazione: “Leggi e capisci che un muto parla al mercato”, con chiaro
riferimento a un miracolo avvenuto in quel luogo.
Comunque si debba intendere la frase un po’ sibillina, come spiega Carlo
Pavolini, questa epigrafe “permette di identificare con certezza l’edificio”.
di
Cinzia Dal Maso
29 maggio 2014
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