All’inizio della via Aurelia Antica, a breve
distanza da porta San Pancrazio, dove la strada curva leggermente,
si innalza un elegante arco il cui nome suscita una certa curiosità:
si tratta dell’arco detto di Tiradiavoli, fatto costruire da Paolo V
Borghese nel 1612 per sostenere l’acquedotto Paolo che in quel punto
attraversa la strada. Il Pontefice, infatti, aveva fatto restaurare
l’antico acquedotto di Traiano, per l’approvvigionamento idrico del
Trastevere, del Vaticano e di alcune zone basse dall’altra parte del
Tevere, come via Giulia, via Arenula e il Ghetto. Fu un’impresa
notevole, che costò ben 400 mila scudi, il doppio della somma
occorsa per l’acquedotto Felice. La grandiosa opera venne affidata a
Giovanni Fontana, fratello maggiore di Domenico. Per reperire i
fondi fu necessario applicare una tassa sulla carne e anche una –
più dolorosa – sul "vino romanesco". Tra il 1673 e il 1696, per
accrescere la portata dell’acquedotto, si decise di unire alle acque
sorgive anche quelle del lago di Bracciano: il risultato fu un’acqua
non del tutto potabile, per cui i romani delusi coniarono il detto
"valere quanto l'acqua Paola", per apostrofare qualcosa di
scarso valore. Nella parte superiore dell’arco, sotto al fastigio
con lo stemma del pontefice, è l’iscrizione che commemora l’impresa
di Paolo V. Dalla terza riga, però, si capisce che il pontefice e i
suoi architetti erano caduti in un errore: credevano di aver
restaurato non l’acquedotto di Traiano, ma quello dell’Aqua
Alsietina, costruito da Augusto per alimentare la Naumachia. Il
curioso nome dato all’arco ricorda che un tempo questo tratto
dell’Aurelia si chiamava via di Tiradiavoli. Come spiega Nica Fiori
nel suo libro "I misteri della Roma più segreta" (Edizioni
Mediterranee, 2000), uno dei fantasmi più celebri di Roma sarebbe
quello di Donna Olimpia Pamphili, cognata di papa Innocenzo X. "Pare
che, nelle notti di plenilunio, appaia nei pressi di villa Doria
Pamphili sulla sua carrozza trainata da quattro cavalli, che corre
per le strade lasciando dietro di sé una scia di fuoco. Dopo aver
attraversato di corsa Ponte Sisto, scompare nel Tevere. Si racconta
che i diavoli vengano ogni volta a prelevarla per trascinarla
all’inferno, tanto che un tratto della via Aurelia antica, nei
pressi della villa, si chiamò, fino al 1914, via Tiradiavoli".
Secondo Claudio Rendina, invece, il toponimo di Tiradiavoli
deriverebbe dall’abbondanza di memorie di martiri cristiani
sull’Aurelia Antica, che faceva sì che i diavoli venissero "tirati
via". Fino alla prima metà del Novecento scorreva all’aperto anche
una marrana di Tiradiavoli, che nel medioevo si chiamava marrana di
pozzo Pantaleo. Questo corso d’acqua nasce all’interno di villa
Pamphili, dalle sorgenti della valle dei Daini e dopo aver
attraversato la valle di via di Donna Olimpia e la zona di pozzo
Pantaleo sbocca nel Tevere. La marrana oggi continua a scorrere
sotto via di Donna Olimpia. La via Tiradiavoli si trova citata nelle
cronache dell’assalto francese del 3 giugno del 1849, che prese di
sorpresa i difensori della Repubblica romana. Alle due del mattino
due colonne francesi arrivavano a villa Pamphili. Una aprì un
passaggio nel muro e penetrò nella villa. D’altra parte - come narra
Giuseppe Gabussi (1852) – "il generale Levaillant, giungendo con tre
reggimenti per la via detta Tiradiavoli, trovato aperto un ingresso
dal lato del giardino, entrò dentro: ma incontrata ben presto
risoluta resistenza da 200 dei nostri, ne conseguì micidialissima
zuffa sostenuta virilmente dai Romani, sino a che, soverchiati dal
numero, dovettero riparare al convento di S. Pancrazio".
di Cinzia Dal Maso
10 gennaio 2014
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