Venendo
dal lungotevere, all’inizio di via Marmorata, sulla sinistra, si
nota un imponente arco di mattoni di epoca romana che doveva essere
collegato al vicino Emporium. Forse apparteneva agli Horrea, i
magazzini, o in ogni caso li collegava con le pendici dell’Aventino.
Nel Medioevo prendeva il nome di Arco di Orazio Coclite, vista la
prossimità con la zona del ponte Sublicio, teatro delle gesta del
leggendario eroe. Prima che la via Marmorata venisse allargata,
l’arco scavalcava la via e sotto di esso transitavano i pellegrini
che si recavano a visitare la tomba di San Paolo nella basilica
omonima. Era anche inserito, durante la settimana santa, nel
percorso della Via Crucis che partiva dalla casa al numero 37 di via
Bocca della Verità, proseguiva alla casa dei Crescenzi, passava per
gli archi della Salara e di San Lazzaro e terminava sul monte
Testaccio, inteso come il Calvario.
Nel
Quattrocento di fianco all’arco fu costruita una piccola chiesa
dedicata a San Lazzaro, protettore dei lebbrosi, che diede al
fornice il nome che tutt’ora conserva. Nel Romitorio, come lo
chiamava il Nibby, si raccoglievano le offerte per il lazzaretto che
si trovava a lato della via trionfale, alle pendici di Monte Mario.
Nel Rinascimento, però, l’arco veniva chiamato anche "delle Sette
Vespe" o dei Vespilloni, probabile riferimento a decorazioni oggi
non più visibili.
L’arco
fu tra i soggetti preferiti da pittori e incisori soprattutto dal
Seicento. Celebre l’acquerello di Ettore Roesler Franz. Il pittore
lo aveva fotografato più volte in una giornata serena, con un
andirivieni di uomini e carretti. Nell’acquerello, invece,
l’atmosfera cambia radicalmente. Il cielo è plumbeo e tra i
sampietrini si allargano vaste pozzanghere in cui si riflettono le
due donne in primo piano e i viandanti sullo sfondo.