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Il "Tabulè di Tito" entra nel cuore di una tragedia senza tempo

La modernità di un classico

Cosa rende un classico aderente a queste definizione?

Prima di tutto la sua capacità di essere contemporaneo a ogni epoca.

Con questa riflessione siamo usciti dalle prove generali di uno spettacolo andato in scena a Roma in questi giorni: "'Il Tabulè di Tito'' della compagnia Paltò Sbiancato.

Il regista Stefano Palmitessa ha lavorato sul ''Tito Andronico'' di Shakespeare ispirandosi liberamente all’opera per entrare nel cuore di una tragedia senza tempo in cui la vendetta è la più mortifera delle armi. Una sperimentazione la sua in cui l’attore si fa maschera, la gestualità forza motrice, la mimica espressione grottesca e pura. Si rimane incantati nel seguire la trama di una storia nota e rivissuta in una chiave per molti versi spiazzante, emotivamente più vicina alla grammatica interna di un quadro astratto che moltiplica le interpretazioni del reale e le concretizza nel coacervo di riflessi generati. Il ritmo narrativo sposa quello coreografico e la scena pullula di corpi in attesa dell’estremo sacrificio: l’obolo da offrire alla mostruosa vendetta. Gli abiti moderni, sovraccaricati dagli accessori e dal trucco, sono il giusto pendant di un allestimento studiato per rielaborare il classico e adattarlo a una misura nuova che sappia dialogare con il contemporaneo accendendo scintille, creando cortocircuiti disarmanti, belli da sentire e da vedere. La regia di Palmitessa corteggia il suono delle parole, la prospettiva degli sguardi. Lavora sui movimenti perché li considera l’impalcatura del suo spettacolo, le ossa dei suoi attori, tutti abilissimi nell’animare questo gioco scenico crudele e dalle conseguenze tragiche, oseremmo dire, primitive. Speriamo, presto, in replica.

di Annalisa Venditti

24 ottobre 2012

 

 

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