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Era il triclinio dove San Gregorio faceva mangiare i poveri

L’oratorio di Santa Barbara nella tranquillità del Celio

A metà della scalinata di San Gregorio al Celio, un piccolo cancello sulla sinistra conduce a un angolo di paradiso di proprietà del Capitolo di Santa Maria Maggiore, il complesso di S. Andrea al Celio. Si prende una scala in cui è stato riadoperato come gradino un frammento di rilevo preromanico a treccia. Giunti sul piazzale, troviamo in uno spazio ristretto tre piccoli oratori voluti all’inizio dei Seicento da Cesare Baronio. Due degli edifici ne hanno sostituiti altri relativi al complesso monastico fondato da San Gregorio e ormai fatiscenti. Il terzo, dedicato a Santa Silvia, fu costruito ex novo dal Baronio. Al centro è l’oratorio più grande, quello di S. Andrea.

Il primo a sinistra era la cosiddetta sala del Triclinio, dove – secondo la tradizione – papa Gregorio dava da mangiare ai poveri. Originariamente era un portico aperto su due lati con archi su colonne antiche, poggiante su un’insula romana del II-III sec., ancora visibile dal clivo di Scauro: sulla fronte si aprono due taberne con porte arcuate, sopra le quali una fila di mensole in travertino è quanto rimane del balcone oggi scomparso.

Il cardinale Baronio fece chiudere il portico e collocare le quattro colonne davanti all’oratorio di Sant’Andrea.

Trasformò anche la sala del Triclinio nell’oratorio di Santa Barbara, che si presenta con una semplice facciata delimitata da due paraste lisce su cui poggia un timpano arcuato. Sulla porta un timpano triangolare, sotto al quale corre l’iscrizione "Triclinium Pauperum". Si entra solitamente dalla porta laterale.

Al centro della sala rettangolare con abside sul fondo è una grande tavola in marmo del III secolo poggiante su sostegni marmorei decorati da grifoni e palme, alla quale secondo la tradizione San Gregorio faceva sedere quotidianamente dodici poveri, cui, insieme con la madre Santa Silvia, serviva il pranzo. Un giorno sarebbe apparso miracolosamente un tredicesimo commensale, un angelo, cui il pontefice servì tranquillamente il pasto. L’episodio è ricordato da un’iscrizione quattrocentesca sulla tavola, che, se venisse pulita, si leggerebbe ancora: "BISSENOS HIC GREGORIUS PASCEBAT EGENTES ANGELUS ET DECIMUS TERTIUS ACCUBIT". A memoria dello straordinario evento, fino al 1870 i Papi usavano servire su questa tavola, ogni giovedì santo, il pranzo a tredici indigenti.

Qualcuno vorrebbe riportare a tale evento straordinario la superstizione popolare che raccomanda di evitare di trovarsi in tredici a tavola. Non si vorrebbe infatti ripetere una circostanza avvenuta per intervento divino.

Le pareti del nuovo oratorio del Triclinio, dedicato a Santa Barbara, furono affrescate tra il 1603 e il 1604 da Antonio Viviani, detto il Sordo di Urbino, con 11 scene relative alla vita di San Gregorio e alla conversione degli inglesi. Il dipinto più notevole, movimentato da profonde ombre e luci radiose, è quello raffigurante l’apparizione alla mensa dei poveri dell’angelo, che spezza il pane benedicendo. Gli altri affreschi riproducono la carità di San Gregorio, la sua elezione ad abate del monastero, Gregorio nell’atto di scrivere, l’invio di Agostino a evangelizzare gli anglosassoni, i monaci al cospetto di re Etelberto e l’apparizione della Madonna a S. Gregorio in preghiera. Nella curva dell’abside, divise da finte colonne, sono quattro figure di Santi: Barbara, Nereo, Achilleo e Flavia Domitilla.

Sul fondo dell’aula, in una nicchia ornata da colonne di breccia rosa e marmi policromi, è la statua di San Gregorio nell’atto di benedire, eseguita nel 1602 dal francese Nicolas Cordier. Nato in Lorena nel 1567, l’artista giunse a Roma giovanissimo e ci rimase fino alla morte, avvenuta nel 1612. Si tramanda che il Cordier abbia utilizzato, per la statua del Pontefice, un blocco di marmo acquistato dal nipote di Michelangelo, già sbozzato dal sommo artista.

Sul piazzale degli oratori c’è anche una casetta quattrocentesca edificata su avanzi di epoca romana. Le pareti sono decorate a finto bugnato graffito e le finestre sono a sesto semicircolare di peperino. Dal momento che all’interno, sulle volte, è murato lo stemma Negroni, forse l’edificio risale al 1490, anno in cui l’abate Pietro Negroni fece eseguire alcuni lavori nel Convento.

Un muro in calcestruzzo di tufo rivestito in blocchi di tufo, di epoca romana, apparteneva a un non meglio identificato edificio pubblico.

di Cinzia Dal Maso

02 marzo 2012

 

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