La
nostra società è abituata ad avere a sua disposizione il sale. E’ per questo
motivo, forse, che diamo poca importanza a un elemento che tuttavia rimane per
noi essenziale e vitale.
Quella del sale è
una storia antichissima. Il suo utilizzo si può far risalire al Neolitico,
ovvero a 10.000 anni fa, quando entrò a far parte della vita umana come
conservante degli alimenti. La parola deriva dal latino "sal", che a sua volta
prende origine dal termine greco "als", ovvero "distesa salata".
Nell’antica Roma il
sale veniva utilizzato per le offerte agli dei, in cucina, in medicina, per la
concia delle pelli, in metallurgia e soprattutto per mantenere a lungo alimenti
facilmente deteriorabili come la carne, il pesce, le olive e i formaggi.
In mancanza di
sofisticati sistemi di refrigerazione, il sale fu per i nostri progenitori
l’antenato del frigorifero. Nelle zone fredde, d’inverno, si sfruttava a questo
scopo la neve.
Sotto sale veniva
comunemente essiccata la carne di maiale. L’agnello, il capretto, la cacciagione
e il pollo erano per lo più consumati freschi, cotti al forno o allo spiedo,
così come il maialino da latte.
Un altro metodo di
conservazione della carne consisteva nella bollitura. Oltre a ottenere una buon
brodo, la carne così cucinata durava per più di una settimana. Ma essendo
passata, di giorno in giorno, di brodo in brodo, doveva essere sempre
rinvigorita di sale e di aromi. Il sale veniva messo anche nel vino e persino
nell’olio, affinché non si ispessisse. Erano note le conserve di salamoia, in
latino "salgama" o "salsamenta" (da cui il termine italiano salsamenteria).
Venivano utilizzate non solo per conservare pesci e verdure, ma anche - sembrerà
strano - per la frutta, ad esempio pesche e albicocche.
Grazie a Catone
abbiamo una dettagliata descrizione del procedimento per salare e conservare il
prosciutto. Questa pratica era molto diffusa presso le popolazioni galliche che
avevano in questo settore un vero e proprio primato, insieme a quello delle
migliori conserve in salamoia. Il prosciutto veniva posto in una giara, tra due
strati di sale romano macinato, "sal romaniensis molitus".
Dopo 17 giorni di
salatura veniva ripulito, quindi cosparso di olio e sospeso per due giorni al
fumo del camino. Poi era nuovamente ricoperto di olio, con l’aggiunta di aceto.
Così, in generale, venivano conservati i pezzi di carne.
Una volta che si
doveva procedere, a distanza di tempo, al loro consumo era necessario
reidratarli bollendoli due o tre volte nel latte e nell’acqua. Per ridare loro
sapore occorrevano molto sale e altrettante spezie. Queste ultime, del resto,
erano utili anche a mascherare il cattivo sapore delle carni andate a male. E
non capitava di rado. Soprattutto la cacciagione, che si rovinava facilmente,
era inondata delle più svariate spezie.
La necessità di
insaporire e ridare gusto agli alimenti bolliti e conservati determinò anche il
grande utilizzo di salse, altro termine etimologicamente legato alla parola
latina "sal".
Tra tutte occorre
ricordare il celeberrimo "garum". Di origine orientale e in uso anche in Grecia,
il garum faceva da padrone non solo nelle ricette salate, ma anche in quelle
dolci.
Quello di bassa
qualità veniva ottenuto dalla fermentazione, sotto sale, delle viscere di alcuni
pesci. Per questo doveva avere un odore nauseabondo. Il sapore non poteva essere
così cattivo, se così tanto i romani ne facevano uso, in diverse modalità e
quantità.
Il migliore era
quello fatto con pezzi di pesce, evitando appunto le interiora. Il garum era il
condimento di carni, pesci, verdure e persino della frutta. Potremmo definirlo
un "liquore di pesce", in qualche misura equiparabile al sapore delle nostre
acciughe in salamoia. Probabilmente la ricetta era nata per caso, in seguito
alla cattiva conservazione sotto sale di alcuni pesce. Un errore, insomma, era
stato trasformato, migliorato e reso un ingrediente di successo.
Dalla lavorazione
del garum si otteneva l’ "allec", una sorta di pasta di pesce. Quando proveniva
dal garum di alta qualità era considerato comunque un bene di lusso e si gustava
negli antipasti per stimolare la fame. L’alec più economico era condimento e
companatico dei poveri che non potevano permettersi il garum di prima scelta.
Il formaggio che
veniva consumato nel giro di poco tempo, una volta confezionato, era fatto
essiccare al sole. Poi era salato, attraverso l’immersione in una salamoia.
I formaggi che si
dovevano mettere in dispensa veniva pressati, salati per nove giorni, poi lavati
e riposti in un locale dal clima temperato. In seguito si procedeva
all’aromatizzazione con timo, pinoli e pepe.