Il
15 maggio del 1849, la storia della Repubblica Romana sembrava essere giunta a
una svolta. Era stata raggiunta quella che sembrava una vittoria della
diplomazia di Mazzini: una tregua d’armi con i Francesi di 20 giorni, pattuita
con il plenipotenziario Lesseps, cui seguì un trattato secondo il quale l’armata
francese doveva essere considerata dai romani "un’armata amica che viene a
concorrere alla difesa del loro territorio".
Il re francese
Luigi Napoleone, però, la pensava diversamente. Il 29 maggio inviò due dispacci,
uno al gen. Oudinot per ordinargli di procedere all’assalto di Roma e l’altro a
Lesseps, intimandogli di tornare in Francia. Oudinot, secondo una sorta di
codice cavalleresco dell’epoca, annunciò che avrebbe ripreso i combattimenti
lunedì 4 giugno. Il generale, però, non fu di parola. Con un’azione che venne
considerata un vero e proprio tradimento, nella notte tra il 2 e il 3 giugno due
colonne francesi sorpresero i difensori nel sonno e si impadronirono delle ville
Pamphili, Corsini e Valentini, tutte posizioni strategiche d grande importanza.
Garibaldi, ancora sofferente per la caduta di Velletri, accorse sul Gianicolo la
mattina del 3, arrivandovi alle 5 e mezzo. Con lui erano la legione italiana e i
bersaglieri lombardi, che per tutta la giornata tentarono di recuperare le
posizioni perdute, nonostante la loro incredibile inferiorità numerica.
Particolarmente cruenti furono gli assalti a villa Corsini, conosciuta anche
come il casino dei Quattro Venti, riconquistata e persa più volte. Durante un
attacco dei lancieri morirono il generale Masina, vari soldati, il porta
bandiera Pier Antonio Zamboni, il tenente aiutante Pietro Scalcerle e numerosi
ufficiali del Galletti. Poco dopo fu la volta dei legionari guidati da Nino
Bixio, che fu gravemente ferito. In uno degli assalti riportò ferite mortali
Francesco Daverio, capo dello stato maggiore della legione. Tra le 8 e le 9 del
mattino intervennero i bersaglieri lombardi di Luciano Manara, subendo enormi
perdite. Quel giorno Goffredo Mameli riportò la ferita
al ginocchio che lo avrebbe fatto morire di cancrena. All’epopea di villa
Corsini Cesare Pascarella ha dedicato alcuni dei più bei versi della sua "Storia
nostra": "Se seppe che er nemico era padrone / Già der casino de le Quattro
Venti. / Pe’ riportaje via la posizione / Se cominciorno li combattimenti. / E
dar primo momento che sorgeva / La luce, che s’uscì for da le Porte, / Fino
all’ultimo che ce se vedeva, / Se fece tutto!...Ma non ce fu verso / De
spuntalla! Fu preso pe’ tre vorte / De fila e pe’ tre vorte fu riperso. /
Eppure, come daveno er segnale / (Mentre da le finestre e le ferrate / Veniva
giù l’inferno!), dar viale / se rimontava su le scalinate; / S’entava ner
portone, pe’ le scale, / Pe’ le camere, fra le baricate / De sedie e tavolini,
pe’ le sale, / A mozzichi, a spintoni, a sciabolate, / Co’ qualunqu’arma, come
se poteva, / Fra fiamme, foco, strilli, sangue, morte, / Se cacciaveno via; se
rivinceva; / Se rivinceva; ma nun ce fu verso / De spuntalla. Fu preso pe’ tre
vorte / de fila e pe’ tre vorte fu riperso. / L’urtima, er tetto in cima già
fumava; / Travi, soffitti, mura s’abbruciaveno, / Pe’ le camere ormai se
camminava / Su li morti che se carbonizzaveno; / E a ‘gni razzo, a ‘gni bomba
che schioppava / Ne le camere che se sfracellaveno, / Mentre che se feriva e
s’ammazzava, / Travi, soffitti...giù!, se sprofonnaveno. / E pure, sai? Finché
nun fu distrutto, / Finché ce furno muri, scale, porte / Pe’ ripotecce entrà, se
provò tutto; / Se provò tutto; ma nun ce fu verso / De spuntalla. Fu preso per
tre vorte / De fila e pe’ tre vorte fu riperso".
Il casino dei
Quattro Venti, con la sua caratteristica pianta quadrata con quattro ingressi al
centro di ogni lato e salone centrale, era rimasto irrimediabilmente
compromesso. Poco restava dei frontoni guarniti di ghirlande e dei vasi di fiori
che il pittore olandese Jan Philip Koelman aveva visto splendere al mattino
sotto i raggi del sole nascente. I suoi resti furono inglobati nell’Arco
quadrifronte dei Quattro Venti, costruito tra il 1856 e il 1859 dall’architetto
Andrea Busiri Vici, che oggi si innalza presso l’ingresso di villa Pamphili.
L’arco riutilizza anche le strutture murarie del piano d’imposta e parte del
mattonato. E’ decorato con statue dei venti e con lo stemma di papa Innocenzo X.
Recenti restauri
hanno evidenziato anche alcune iscrizioni sui muri vergate nel 1849.