E’ alto oltre quattro metri e pesa venticinque quintali
Il cavallo della Rai di Francesco Messina
di Antonio Venditti

Per molti romani è il simbolo stesso della Rai, il grande cavallo morente in bronzo patinato che si erge nel giardino davanti alla sede della Direzione Generale di viale Mazzini. Le zampe posteriori già piegate a terra, il nobile animale fa un disperato tentativo per rialzarsi puntando al suolo le zampe anteriori, mentre con il collo irrigidito e il muso rivolto verso il cielo esprime in un poderoso nitrito tutto il suo dolore.
La scultura fu commissionata al grande artista siciliano Francesco Messina nel 1964 dall’allora direttore generale della Rai Bernardi e venne realizzata sotto la guida del Maestro dalla fonderia Battaglia di Milano con la tecnica a cerca persa: il bozzetto venne riprodotto mediante assicelle di legno ancorate a un’armatura in ferro, sulle quali fu stesa la cera per modellare l’opera. Ci vollero due anni di duro lavoro per condurre a termine la scultura, che fu finalmente inaugurata là dove tutti la possono ancora vedere il 5 novembre 1966, non senza aver prima compiuto un avventuroso viaggio da Milano a Roma sull’Autostrada del Sole. Fu persino necessario tagliare la coda, troppo sporgente, per poi risaldarla direttamente a viale Mazzini. In effetti, molti problemi furono dovuti alle imponenti misure: 4,60 metri di altezza per 5,50 di lunghezza, mentre il peso del cavallo e della sua base arriva a 25 quintali. La scultura è sorretta internamente da sbarre di ferro e poggia su 4 longheroni, sempre di ferro, incassati nel terreno. Come ebbe modo di dichiarare lo stesso Messina, rappresenta un cavallo ferito nella lotta con altri cavalli nel momento in cui esprime il massimo della sua energia "come un cigno il suo canto più bello prima di morire". La superficie del metallo rifinita alla perfezione rispecchia il credo artistico di Messina, teso a un esplicito e a volte polemico recupero della grande tradizione classica e rinascimentale.
Dopo circa 40 anni trascorsi all’aperto, a contatto con l’inquinamento e lo smog, all’inizio del nuovo millennio la scultura presentava non pochi problemi di conservazione. Il Maestro, infatti, aveva voluto dare alla sua opera una patina leggerissima e trasparente per esaltare la sensibilità plastica e luminosa della superficie del bronzo: così facendo però aveva finito quasi con l’annullare la funzione protettiva della patina, esponendo il metallo all’aggressione degli agenti di corrosione: incrostazioni carboniose e sottili patine incoerenti e disomogenee a causa delle scolature di pioggia "acida" avevano fatto assumere alle superfici un deturpante aspetto "zebrato". Per fermare il processo di degrado si era reso necessario rimuovere le incrostazioni corrosive e garantire poi alla superficie del bronzo una adeguata protezione.
L’Istituto Centrale del Restauro, prima di intervenire direttamente sul cavallo, ha fatto effettuare presso i suoi Laboratori scientifici tutte le indagini e le analisi necessarie, quindi ha dato il via ad alcuni saggi di pulitura sulla superficie del bronzo. Un intervento di pulitura generalizzato ha quindi consentito di recuperare superfici cromaticamente più omogenee, coperte da un doppio strato di protettivo, che dovrà essere controllato ed eventualmente ripristinato per impedire che riprenda il processo di deterioramento. Il lavoro, che è durato sei mesi, ha richiesto l’impegno continuativo di due restauratori e di quattro allievi restauratori, oltre all’opera del direttore dei lavori, di sette specialisti scientifici, di due fotografi, di una documentatrice grafica e di due esperti amministrativi
Ben pulito e tirato a lucido, il cavallo avrà pensato di avere davanti a sé lunghi anni tranquilli e persino noiosi, a dispetto di quella scomoda posizione in cui lo scultore l’aveva condannato per l’eternità. Invece, nel gennaio del 2005 ecco una nuova nube addensarsi sulla sua testa. Sulla pancia dell’ignaro animale era comparsa una minacciosa scritta: "Bene sottoposto a pignoramento giudiziario". Che cosa era successo? Quattro dipendenti con contratto a termine della Tv di Stato, tre parrucchieri-truccatori e una costumista, avevano fatto causa per il reintegro ottenendo un risarcimento di 80 mila euro, che però la Rai si era rifiutata di pagare. L’avvocato dei quattro aveva così pensato di procedere al pignoramento del cavallo, certo una provocazione, che non ha però mancato di suscitare un certo imbarazzo e qualche polemica.

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