Fu aperta nella metà del XVI secolo come spezieria

E’ a piazza di Trevi la più antica farmacia

di Antonio Venditti

Tra le curiosità di piazza di Trevi, al n. 89 del pianterreno dell’ottocentesco Palazzo Castellani si apre la Farmacia Pesci, la cui origine risale alla metà del XVI secolo. E’ la più antica di Roma, forse d’Eu­ropa. La Farmacia è ricca di storia, come del resto molti degli arredi e oggetti conservati.

A destra dell’ingresso, al di sopra di una base di marmo, è in bella mostra un grande mortaio di bronzo, con inciso il numero 1552, forse riferito all’apertura della bottega di speziale. Poggiati sul banco due vasi di porfido con coperchio, uno dei quali avrebbe dovuto contenere, per volontà di Augusto Castellani, le ceneri di Giuseppe Garibaldi. In esposizione anche due denti ossificati di pesce, dentellati, dono di missionari per la farmacia, dispensario, sotto la tutela del Pontefice, per i poveri.

Risalgono al XVIII secolo i mobili in noce scuro: il grande banco di vendita, con sportelli muniti di piccole maniglie d’ottone, con sul lato sinistro un incavo con scivolo per far cadere le monete in un cassettino sottostante, le eleganti scaffalature con 42 grandi scatole per le erbe in legno di sandalo, alcune con scritte (edera terrestre, gomma arabica, senapa, semi di lino) e tre vasi celesti di ceramica, superstiti fra cen­tocinquanta, andati perduti nel 1911 du­rante il trasferimento dalla sede precedente, sempre a piazza Fontana di Trevi, a quella attuale ed anche in seguito a due furti. Nel corso del trasloco si smarrirono vipere secche, spirito di rondinella, “stercum diaboli” e, con tutta probabilità, ricette di me­dicinali.

Sulla parete di fondo della Farmacia, quasi una quinta, il grande armadio settecentesco, dalle linee movimentate, sormontato da un timpano con sopra un quadro della stessa epoca, raffigurante la Madonna con Bambino tra San Francesco e San Giuseppe. Due porte, incorporate ai lati, separavano l’antico laboratorio dal locale di vendita. Al di là della parete sono conservati antichi oggetti e la fotografia di un cavallo in legno - l’originale è stato messo al sicuro – scolpito forse da Benvenuto Cellini. La vivace testa dorata, con gli occhi di fuoco e le froge frementi, sostiene a mo’ di corno un lungo dente ossificato di narvalo. Insieme, testa e corno danno vita ad un’immagine di liocorno, bel lavoro d’intaglio donato alla “spetiaria” di Pietro Corsi e Biagio Mansueti.

L’originario ambiente in cui operava lo speziale era un’officina alchimistica, dotata di bilance, alambicchi, mortai, storte, fornelli  e con camini sotto ai quali si preparavano pozioni, elettuari, sciroppi, giulebbi e tutti i medicamenti che la medicina dell’epoca, ancora incerta, metteva a disposizione dei pazienti. Nel 1695 nella “Spetiaria e Cereria” di piazza di Trevi si preparava il famoso “Balsamo di papa Innocenzo”.

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